30 ottobre 2011

Paolo Ferrero: Acqua, fare come a Napoli




L'approvazione della gestione pubblica del ciclo integrato dell'acqua a Napoli, votata pochi giorni fa quasi all'unanimità dal Consiglio comunale partenopeo, con l'istituzione dell'Abc (Azienda Bene comune Napoli) è un fatto politico di valore nazionale. È stato premiato l'impegno del movimento ambientalista che ha portato alla vittoria referendaria dello scorso giugno. Il provvedimento sottolinea inoltre il valore politico della svolta operata a Napoli con la vittoria di De Magistris e della coalizione che l'ha sostenuto. Si è decisa infatti la costituzione di un'azienda speciale integralmente pubblica che attua la ripubblicizzazione dell'intero ciclo, seguendo l'esperienza virtuosa di Parigi, con un soggetto pubblico che garantirà tra l'altro il diritto al minimo vitale di acqua - pari a 50 litri al giorno - per i cittadini in condizione di disagio sociale e la presenza di due esponenti del movimento ambientalista nel consiglio d'amministrazione. Il percorso per la totale ripubblicizzazione del ciclo integrato a Napoli ha visto la battaglia del Prc sin dal 2004.

All'epoca, sulla base della normativa vigente, per due volte l'Ato (Ambito territoriale ottimale) tentò di mettere a gara il servizio gestito dalla Arin (Azienda Risorse Idriche napoletane) Spa, e su iniziativa dei movimenti e di Rifondazione in giunta e nel consiglio, si riuscì a convincere il sindaco Jervolino a fermare la gara. Successivamente, nel 2009, si aprì una battaglia che puntava a realizzare un'azienda integralmente pubblica come ente di diritto pubblico. Tuttavia l'inconcludenza dell'amministrazione precedente non portò a nulla, al punto che nel settembre 2010 il rappresentante Prc nel consiglio dell'Arin si dimise per l'impossibilità di realizzare quanto concordato.
La delibera approvata negli scorsi giorni rappresenta dunque una grande innovazione giuridica e politica, perché, come si legge nello statuto, l'Abc è un ente di diritto pubblico, un'azienda speciale, che gestisce interamente il ciclo: dalla captazione alla depurazione, fino alla distribuzione, sciogliendo di fatto aziende preesistenti come l'Arin Spa e il consorzio della depurazione. È la prima volta in Italia che si attua pienamente lo spirito del referendum, in quanto l'abrogazione del famigerato articolo 23 bis del Decreto Ronchi rende possibile l'attuazione dell'azienda speciale proprio come ente di diritto pubblico. Questo è un punto fondamentale perché vuol dire che la battaglia fatta con il referendum - a cui il governo non vuol dare alcun seguito - può essere ripresa dai territori, dalle amministrazioni locali. Inoltre, nello statuto dell'Abc vi è il principio della democrazia partecipativa che prevede spazi per i movimenti per l'acqua pubblica sia nella fase di indirizzo (ovvero nel comitato di sorveglianza) che, come già spiegato, nella fase di gestione (con due membri nel Cda) e il principio della gratuità del minimo vitale quotidiano per i soggetti svantaggiati, come previsto dalla normativa europea.
La delibera di Napoli deve quindi essere solo un primo passo da estendere in tutta Italia. Occorre quindi rilanciare - a partire dalla manifestazione del 26 novembre prossimo - la battaglia per l'acqua pubblica, con una semplice parola d'ordine: fare come Napoli, che ha dimostrato che l'acqua pubblica non solo è necessaria ma è possibile. Utilizziamo l'esempio di Napoli per fare un passo in avanti e rompere quella sensazione di impotenza che rischia di anestetizzare la realtà sociale.

Antonio Gramsci su "rottamatori" e "nuovisti"


Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto.
Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. È il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere.
Fare il deserto per emergere e distinguersi.
Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre; semplicemente vegetare è già superamento di ciò che è dipinto come morto.
Si rimprovera al passato di non aver compiuto il compito del presente: come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli.

Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro… ma essi non l’hanno fatto e, quindi, noi non abbiamo fatto nulla di più.
Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte.

Antonio Gramsci

29 ottobre 2011

Paolo Berdini: Città e territori come beni comuni. Nove proposte per salvare il Belpaese


Efficace sintesi della devastazione in atto. Inarrestabile? Le cose che si possono fare per fermare il trend.

Dopo Tangentopoli la legislazione urbanistica è stata smantellata. Le metropoli sono diventate terreno di conquista degli speculatori. Fiumi di cemento hanno inondato i nostri territori. Ripristinare la legalità, bloccare le espansioni urbane, riqualificare le periferie, recuperare il costruito abbandonato: ecco tutto ciò che andrebbe fatto per fermare il saccheggio del territorio e delle città.
Regole e legalità cancellate

Il 1993 segna lo spartiacque per comprendere cosa è avvenuto nel territorio e nelle città. Tangentopoli aveva mostrato lo stretto intreccio tra l’urbanistica e la corruzione: a Roma e Milano, solo per fermarci alle due maggiori città, le regole venivano sistematicamente cambiate dalla politica collusa con la proprietà fondiaria e con l’affarismo.

Nulla di nuovo. Una storia iniziata nell’immediato dopoguerra: la Roma dominata dalla Società generale immobiliare, la Napoli dei tempi di Lauro, lo scandalo di Agrigento, il sacco di Palermo avevano dimostrato l’arretratezza del sistema economico che dominava le città. È stata la speculazione parassitaria a imporre il proprio dominio: dappertutto erano sorte periferie sfigurate e incivili.

Eppure in quel periodo il legislatore aveva risposto agli scandali con una serie di riforme che avevano collocato l’Italia nel panorama dei paesi virtuosi. Regole e strumenti pubblici chiari e efficaci: la legge sull’edilizia pubblica del 1962, [del 1971 e del 1978 – n.d.r.] la legge ponte del 1967, la Bucalossi del 1977, la Galasso del 1985, la legge sulle aree protette del 1991. Era stato mancato l’obiettivo di scindere in maniera definitiva il diritto di proprietà dal diritto di edificare analogamente agli altri paesi europei poiché il tentativo di riforma di Fiorentino-Sullo fallì nel 1963 per la violentissima reazione del blocco immobiliare. Ciò nonostante, la risposta agli scempi urbanistici portò a una profonda evoluzione della legislazione.

La risposta allo scandalo di Tangentopoli è stata di segno opposto: la legislazione urbanistica è stata infatti smantellata. La cultura delle regole viene sostituita dalla prassi della deroga. I piani regolatori, e cioè il quadro coerente dello sviluppo delle città, vengono sostituiti dall’urbanistica contrattata: volta per volta si decide la dimensione e i caratteri degli interventi urbani, al riparo di qualsiasi trasparenza. Conseguenza inevitabile, se si pensa che le elezioni politiche del 1994 portarono alla vittoria Silvio Berlusconi che all’interno del suo programma aveva promesso «padroni a casa propria» slogan che dà il via alla serie di leggi – mai contrastate negli anni dei governi di centro-sinistra – che avrebbero messo in crisi il governo pubblico del territorio.

Quando scompaiono le regole trionfa l’illegalità. Questo è avvenuto in molti casi, dall’attacco continuo alla magistratura al falso in bilancio alle prescrizioni facili. Ma è nelle città che il malaffare ha trionfato. Quanto emerge dall’inchiesta della magistratura su Sesto San Giovanni ne è la più chiara dimostrazione. I colloqui tra i protagonisti vertono sull’esigenza di variare le volumetrie da realizzare nell’area ex Falk da un milione a un milione e mezzo di metri cubi. Senza alcuna procedura di evidenza pubblica si regalano alla proprietà fondiaria 500 mila metri cubi: un arricchimento in termini economici di oltre 200 milioni di euro. Ammettiamo pure per assurdo che non ci sia stata alcuna tangente: il fatto grave è che attraverso l’urbanistica contrattata si alterano le regole di mercato. Altri operatori che sulla base delle scelte urbanistiche avevano deciso di investire in differenti aree vengono danneggiati e se non vogliono soccombere hanno un’unica strada: venire a patti con la politica e iniziare la contrattazione urbanistica.

Questa patologia spiega il motivo per il quale non c’è nessun operatore edilizio di altri paesi europei che investa sul mercato italiano: chi è abituato al rispetto delle regole non può avventurarsi in un far west dominato da taglieggiatori, speculatori e amministratori pubblici infedeli. Del resto, siamo il paese dei tre condoni edilizi, una vergogna sconosciuta negli altri paesi.

Le periferie più grandi e desolate d’Europa

Dopo circa vent’anni dalla sua affermazione è venuto il momento di tentare un bilancio degli effetti sulle città e sul territorio dell’urbanistica contrattata. Esso deve partire da una constatazione statistica: nel quindicennio che va dalla ripresa del mercato delle costruzioni (1995) ad oggi, un fiume di cemento e asfalto si è riversato sul paese. L’Istat ha certificato (2009) la costruzione di oltre 3 miliardi di metri cubi di cemento, una produzione edilizia imponente, molto simile per dimensioni a quella realizzata negli anni Cinquanta-Settanta quando l’Italia era investita da grandi flussi demografici e da indici di crescita economica a due cifre. La cancellazione delle regole urbane ha dunque giovato al mondo della proprietà fondiaria e delle costruzioni. Ha giovato anche alla qualità delle nostre città?

La risposta è inequivocabile. Le periferie – che rappresentano la parte preponderante delle nostre città – sono in assoluto, con alcune lodevoli eccezioni, le più brutte, disordinate e invivibili dell’intera Europa. Lo sono per le carenze dei sistemi di trasporto, per la qualità dei servizi pubblici e degli stessi edifici. I luoghi scelti per realizzare le nuove periferie hanno anche contraddetto la regola usuale della città liberale, quella cioè di espandersi in adiacenza ai precedenti tessuti, mantenendo la città compatta e minori i costi di funzionamento urbano. In ogni parte del territorio agricolo sono nati centri commerciali, nuclei abitati, residence, cittadelle del consumo: lo sprawl urbano è la caratteristica più evidente del ventennio liberista. Le città italiane nel ventennio dell’urbanistica contrattata sono diventate più estese, più disordinate, socialmente più ingiuste. La speculazione immobiliare ha fatto enormi affari. Gli altri sono stati costretti a spostarsi nelle sempre più lontane e squallide periferie.

Una gigantesca periferia senza struttura e senza relazioni: abbiamo il più basso livello di infrastrutture su ferro, il più alto numero di automobili ad abitante, con il più elevato livello di superficie urbanizzata a parità di popolazione, un consumo di suolo senza uguali nei paesi ad economia forte. Un’immensa «non città», anonima e disordinata. Una frammentazione che genera consumi energetici insostenibili, disfunzioni economiche e scarsa qualità della vita.

Verso il default urbano

Raccogliamo dunque gli effetti di processi giustificati dall’ideologia di uno «sviluppo» che oltre a lasciare macerie urbane ha anche vuotato le casse delle amministrazioni pubbliche. Paradigma di quanto è avvenuto nelle città italiane è il caso di Parma. Una città ricca, con una parte antica meravigliosa e una periferia storica bella, è stata saccheggiata dietro lo schermo dello sviluppo. Oggi Parma ha un deficit di bilancio che pesa sulle spalle delle future generazioni per 600 milioni di euro.

Del resto, la stagione delle «grandi opere» è servita soltanto al saccheggio. Dietro i concetti dell’ammodernamento del paese sono state avviate opere dannose e inutili: dal Mose al ponte di Messina; dal corridoio della Val di Susa alle emergenze della Protezione civile, è stata messa a punto una macchina perfetta che ha favorito soltanto le cricche del malaffare e dilapidato risorse pubbliche. Del resto, per collocare in un panorama più vasto le dinamiche italiane, non si deve dimenticare quanto è avvenuto in Grecia. Anche lì l’ideologia liberista ha imposto a tutti i costi lo svolgimento dei Giochi olimpici nel 2004: il deficit di bilancio accumulato per la folle sfida è stato di 20 miliardi di euro dilapidati in cattedrali nel deserto, poco meno di un decimo del debito che sta collassando quella nazione.

Se si mettono queste caratteristiche del territorio in relazione con la crisi economica e finanziaria che sta colpendo sempre più intensamente il paese e che provocherà un’inevitabile diminuzione delle capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche, gli interrogativi sul futuro delle nostre città si fanno allarmanti. Non avremo risorse per portare i servizi nel territorio diffuso e – ciò che in prospettiva è più importante – non potremo competere con i livelli di efficienza delle città europee, con la qualità dei servizi erogati ai cittadini, con la loro capacità di fare rete – e richiamare investimenti privati – proprio in virtù dell’alto livello di funzionalità.

Viaggiamo verso una prospettiva insostenibile. Nella crisi globale una struttura forte del territorio è un potente fattore di traino di nuove attività: territori a bassa densità non sono invece in grado di competere con i livelli di concentrazione di servizio esistenti nelle città del mondo. La Comunità europea prevede che nel 2020 l’80 per cento della popolazione degli Stati membri vivrà in ambiente urbano. La sfida per la ripresa economica passa dunque per le città e l’Italia è la cenerentola rispetto ai paesi, che anche in questi anni di liberismo non hanno abbandonato la cultura del governo delle città.

Abbiamo minato le stesse basi per una nuova fase di sviluppo e per tentare di colmare la distanza dobbiamo essere in grado di rendere concrete due condizioni: bloccare per sempre le espansioni urbane perché è un costo che non possiamo permetterci più e investire risorse pubbliche per migliorare le città. Assistiamo purtroppo a una rincorsa bipartisan a espandere ancora le città e a impoverirle cancellando il welfare urbano, i trasporti,fino a ipotizzare di svendere i monumenti.

È come se una banda di malfattori si fosse impadronita del paese. Continua infatti l’assalto alle coste marine ancora integre. Dalla Sardegna alla Sicilia l’unico motore di sviluppo è il cemento. Assistiamo poi a un altro assalto all’integrità dei luoghi condotto mediante nuovi mostri giuridici come i «piani casa» (nel Lazio si deroga perfino per le aree ricomprese nei parchi) o le «zone a burocrazia zero» volute dal ministro Tremonti con le quali si possono superare anche i vincoli paesaggistici che hanno rilevanza costituzionale sulla scorta dell’articolo 9. Salvatore Settis ha lanciato l’allarme sul rischio della definitiva cancellazione dei paesaggi storici italiani.

Se a questo si aggiunge ancora che – deroghe a parte – i vigenti piani regolatori prevedono espansioni illimitate (solo i recenti piani di Roma e Milano prevedono un incremento di 120 milioni di metri cubi di cemento, e cioè un milione di nuovi abitanti in due città che perdono popolazione da circa trenta anni!) c’è davvero da preoccuparsi. Occorre interrompere questa folle corsa alla distruzione del paese.

Le città e il territorio sono beni comuni

Solo in base a nuovi princìpi giuridici si potrà fermare il saccheggio del territorio e delle città. È necessario un nuovo paradigma e, se finora lo sviluppo delle città e del territorio ha favorito la speculazione immobiliare e il mondo delle imprese colluse con la politica, è venuto il momento di riportare i destini delle città e del territorio nelle mani delle popolazioni insediate. Occorre affermare che il territorio, le città e le risorse naturali che consentono la vita insediativa sono beni comuni non negoziabili. Le istituzioni pubbliche, attraverso le forme della partecipazione attiva della popolazione, ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze. È questo il pilastro su cui deve essere rifondato il governo del territorio. I beni comuni non possono essere trasformati in funzione dell’esclusivo tornaconto dei proprietari degli immobili ma ogni mutamento deve essere deciso dalle amministrazioni pubbliche attraverso forme di partecipazione delle comunità insediate, specie in questo periodo di scarse risorse economiche.

Il principio generale si completa con due corollari. In primo luogo occorre conoscere quanto è avvenuto. Finora non ci sono dati ufficiali su quante abitazioni sono state costruite e quante sono invendute, quante aree industriali sono dismesse, quante aree urbane sono prive delle più elementari opere di urbanizzazione. Per completare il quadro conoscitivo è necessario applicare un anno di moratoria edilizia in cui sono consentiti soltanto gli interventi in corso, quelli di recupero e ristrutturazione di edifici esistenti ma è preclusa ogni urbanizzazione di terreni agricoli. Una sorta di simmetria con l’anno di sospensione dell’entrata in vigore della «legge ponte» che la proprietà immobiliare impose e che servì per compiere alcuni dei più gravi misfatti che deturpano ancora oggi il territorio.

Il secondo corollario riguarda il fatto che su ogni opera di rilevanza territoriale, da un nuovo centro commerciale a una grande opera, è la popolazione insediata che deve esprimersi attraverso le mature forme di partecipazione, e cioè i referendum confermativi. Visto che le regole sono state infrante, occorre ricostruirle a partire da un nuovo protagonismo: quello dei custodi del bene comune, i cittadini.

Insieme al nuovo principio su cui deve rifondarsi il governo del territorio e delle città, è poi urgente definire le principali linee di azione da intraprendere per una nuova forma di governo. Lo faremo individuando nove fondamentali provvedimenti.

Le politiche individuate hanno bisogno di investimenti pubblici. Una prassi normale nella storia delle città: esse sono infatti luoghi pubblici per eccellenza e la loro evoluzione è stata sempre alimentata dalla lungimiranza di coloro che la governavano. Oggi non si investe più perché «non ci sono più soldi». Una menzogna vergognosa. Non passa giorno in cui non apprendiamo scandali e ruberie compiuti ai danni del territorio e dell’ambiente. È purtroppo vero che le risorse pubbliche vengono spese per opere inutili, per alimentare un sistema di potere che sfugge ormai al controllo democratico. La spesa pubblica per i provvedimenti contenuti in questo elenco serve per favorire la ricerca tecnologica e nuove produzioni, per rendere le città più vivibili. È un investimento per il futuro del paese e delle giovani generazioni.

1. Chiudere la fase dell’espansione urbana. È preminente interesse pubblico bloccare la corsa all’ulteriore espansione delle città e ridurre a zero il consumo di suolo ai fini insediativi e il mantenimento della parte naturale che è il luogo della biodiversità. Alcune normative regionali hanno già stabilito che nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali devono essere consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. La norma di principio valida su tutto il territorio nazionale potrebbe affermare ad esempio che «la realizzazione di nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali può essere definita ammissibile soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti, delle infrastrutture o delle attrezzature esistenti».

L’esperienza ci insegna però che una simile norma non ha da sola la forza per fermare l’espansione urbana. Sono troppe le deroghe che consentono il nascere di nuovi insediamenti. L’efficacia della norma può essere resa stringente recuperando una proposta che da tempo Italia Nostra propugna, quella di inserire le aree agricole all’interno delle categorie dei beni tutelati ai fini paesaggistici dalla legge Galasso. Si dovrà dunque aggiungere al codice dei Beni culturali e paesaggistici (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) un comma che afferma: «Il territorio agricolo è vincolato come bene paesaggistico» in modo che sia conseguentemente sottoposto alla tutela dei piani paesaggistici.

Un piccolo e combattivo nucleo di sindaci ha dato vita al movimento «Stop al consumo di suolo», dimostrando che sono i cittadini a chiedere che le città non crescano più: si tratta di estendere all’intero paese ciò che è già in movimento.

2. Il territorio del lavoro. I suoli agricoli sottratti alla monocultura del mattone e dell’asfalto possono fornire una prospettiva produttiva. Ai fini di una lungimirante gestione del territorio nazionale, infatti, si deve recuperare un uso agricolo consapevole, puntare sulla qualità del prodotto, sulla riconversione biologica, sulla filiera corta. Un tema decisivo per il futuro economico del paese, una prospettiva che comporta la possibilità di integrazioni di reddito, la riscoperta delle radici culturali e della qualità del cibo. L’avvio di nuove politiche sarebbe di grande importanza perché i territori collinari e montani si stanno spopolando sempre più velocemente, con gravi rischi sulla stessa stabilità geologica dei versanti.

Compito delle autorità pubbliche è riattivare il tessuto sociale dell’Italia «marginale». Un solo esempio: i terreni abbandonati costano poco sul mercato immobiliare e le amministrazioni pubbliche potrebbero dunque inserirsi come operatori attivi e acquisire estese porzioni di territori da affidare poi alle comunità locali. Non sarebbe questa una spesa pubblica «classica», improduttiva. È al contrario un modo intelligente di investire sul futuro del paese, utilizzando ad esempio le risorse liberate attraverso la vendita delle proprietà pubbliche non indispensabili.

3. Pareggio di bilancio dei conti pubblici a carico della rendita parassitaria. Il blocco delle espansioni urbane porterebbe un consistente riequilibrio dei bilanci pubblici. Si spendono ingenti risorse per inseguire e raggiungere tutti i frammenti delle espansioni urbane nati recentemente. A carico della collettività resta infatti il pesante compito di realizzare le strade e le infrastrutture energetiche, di garantire i servizi pubblici, i trasporti e la quotidiana gestione dei quartieri. Questi oneri sono ormai insostenibili poiché la crisi economica ha ridotto le capacità di spesa delle amministrazioni. Si deve dunque stabilire il principio che ogni attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la preliminare realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, a iniziare dalle reti di trasporto su ferro. A carico del privato vanno anche tutte le spese di mantenimento e di gestione dei nuovi insediamenti: è ora di chiudere il rubinetto che prosciuga le casse dello Stato.

In questo modo si possono cancellare le folli previsioni dei piani regolatori comunali. Se vogliamo davvero cambiare le città non possiamo consentire che si costruisca in luoghi privi di sistemi di trasporto non inquinante. I cittadini hanno il diritto, come in ogni altro paese europeo, di vivere in modo civile e non essere costretti a passare molte ore al giorno in spostamenti in automobile. È ora che gli attori edilizi si facciano carico della realizzazione delle infrastrutture, interrompendo il comodo gioco di scaricarne i costi sulle amministrazioni pubbliche che non sono più in grado di farsene carico.

Stesso ragionamento vale nel campo dell’erogazione dei pubblici servizi dove si sperpera un altro fiume di risorse economiche attraverso un impressionante numero di società di scopo. In nome dell’ideologia della presunta «efficienza», ad esempio, a Parma sono state create 34 società partecipate per gestire compiti ordinari come erogare l’acqua. Anche nell’area bolognese e in molte altre città i servizi pubblici sono gestiti da un numero imponente di società. Presidenze, consigli di amministrazione, consulenti d’oro che riportano docilmente i soldi ai decisori politici.

In questa stessa ottica di recupero di risorse economiche deve essere sottoposto a radicale revisione il paradigma della svendita del patrimonio pubblico così di moda nei circoli della finanza internazionale e dei politicanti nostrani. Nulla in contrario: proprietà pubbliche non utilizzate per il soddisfacimento delle esigenze collettive possano essere poste in vendita. Ma ciò deve in primo luogo escludere i beni culturali poiché un paese che guarda al futuro non vende le sue radici. In secondo luogo deve avvenire soltanto dopo aver coinvolto le popolazioni locali, poiché quel patrimonio appartiene a loro, e dopo aver verificato che quegli immobili da vendere non possano servire per abbattere il flusso delle risorse pubbliche spese per pagare affitti di uffici pubblici alla grande proprietà immobiliare. A Roma, ad esempio, importanti istituzioni – ad iniziare dal parlamento – pagano canoni altissimi a immobiliaristi e faccendieri anche se esistono ancora grandi edifici pubblici localizzati in posizione centrale. Invece di svenderli, potrebbero essere riutilizzati al posto di quelli per i quali si pagano i canoni di affitto.

Un altro eloquente esempio riguarda lo stesso ministero dell’Economia guidato da Giulio Tremonti, e cioè l’istituzione che più di ogni altra dovrebbe perseguire una rigorosa politica di risparmio. La sede del ministero ubicata a ridosso del laghetto dell’Eur è stata di recente dismessa e venduta per consentire l’ennesima speculazione immobiliare. Le strutture lavorative prima concentrate sono state smembrate e ora sono localizzate in due immobili tra loro distanti. Paghiamo i costi del disservizio e lauti canoni di affitto a grandi società immobiliari: lo Stato svende e il privato ci guadagna.

4. Il diritto all’abitare. Occorre pertanto invertire questo meccanismo perverso: la vendita degli immobili pubblici deve essere decisa dalla collettività dopo attenta verifica della loro potenzialità di essere riutilizzati per fini istituzionali o per risolvere i fabbisogni abitativi. La grande produzione edilizia di questi anni non ha infatti risolto il problema delle abitazioni. Sono centinaia di migliaia le famiglie che non hanno casa o vivono in abitazioni improprie. Nelle grandi città italiane esistono oltre 300 mila abitazioni nuove invendute. Ciononostante, i valori economici degli immobili hanno subìto un’impennata provocando l’espulsione dalle zone centrali delle città di un numero enorme di famiglie a medio e basso reddito. Una nuova legge «sull’abitare», e cioè sul diritto di tutti non soltanto ad avere un tetto, ma anche ad avere una città efficiente e accogliente è un altro fondamentale tassello del programma di governo.

Anche in questo settore va affermato un nuovo principio: a tutti i cittadini sono garantiti i diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale del patrimonio culturale, alla dignità umana. La legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, e la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni.

5. Le radici culturali da conservare. Nel delirio della cancellazione delle regole, si è tentato perfino di aggredire le radici della nostra storia urbana, i centri antichi. Nel cosiddetto «piano casa» berlusconiano si alludeva infatti anche alla possibilità di trasformare le tipologie presenti nei centri storici e continuamente si tenta di forzare le norme esistenti. Converrà dunque ribadire con una legge ad hoc che gli insediamenti storici non possono essere manomessi, ma conservati gelosamente per le future generazioni.

In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali dovranno essere vincolati ope legis gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane; le unità edilizie e gli spazi scoperti, i siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali. Le radici culturali delle città e dei territori non possono essere modificate.

6. Periferie da rendere belle. Se da un lato si chiude la fase della crescita urbana, il governo delle città deve essere in grado di dare sbocchi concreti a un comparto produttivo che rappresenta comunque una percentuale importante del sistema produttivo italiano. In tal senso devono essere facilitate e avviate a trasformazione tutte quelle aree urbane che hanno bisogno di riqualificazione urbanistica. Si tratta dei tessuti abusivi ancora oggi privi dei requisiti minimi di civiltà e vivibilità (marciapiedi pedonali, piazze e servizi pubblici) e dei tessuti produttivi dismessi: è questo un patrimonio volumetrico imponente che potrebbe rappresentare – in una chiave sistematica – la chiave di volta di una riqualificazione urbana.
In tal senso va varato un provvedimento legislativo «quadro» (la materia urbanistica è «concorrente» tra Stato e Regioni ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione e lo Stato deve limitarsi alla definizione di norme quadro) che incentivi attraverso aiuti economici, fiscali e procedurali il rinnovo urbano e la creazione di periferie belle.

7. La riconversione tecnologica ed ecologica delle città. I provvedimenti fin qui elencati appartengono a un orizzonte che potremmo definire «tradizionale», nel senso che fa i conti con la crisi urbana ma non tiene conto della necessità sempre più impellente della riconversione ecologica delle aree urbane, del risparmio energetico, del cambiamento climatico in atto. Abbiamo edifici e città energivore: puntare al risparmio energetico serve a mettere in moto un gigantesco volano di ricerca, produzione e occupazione superiore a qualsiasi altro investimento nelle cosiddette «grandi opere». Anche qui alcune esperienze già sono in campo. Il progetto «casa clima» delle provincie di Trento e Bolzano ha dimostrato di aver saputo essere volano di interventi di sostituzione edilizia e di risparmio energetico.

Occorre però definire un provvedimento legislativo che aggredisca la questione urbana in maniera complessiva, dalla produzione energetica, ai sistemi di illuminazione fino alla forestazione urbana, definendo politiche efficaci e finanziando, anche attraverso forme di sgravio fiscale, l’evoluzione energetica delle città.

Occorre aprire una fase di profonda e radicale innovazione tecnologica delle città e del territorio in grado di far tesoro del patrimonio di innovazione, di ricerca e di produzione che in altri paesi è ormai una solida realtà produttiva.
Come è noto i nostri sistemi di trasporto urbano sono tra i più antiquati e inquinanti. Esistono invece infiniti esempi di sperimentazioni e attuazione di sistemi a impatto energetico e ambientale ridotto (tramvie, filovie, reti ciclabili integrate con i nodi del trasporto pubblico).

È il caso di sottolineare che si dovrà interrompere il consumo di suolo agricolo che oggi viene alimentato da progetti di fonti energetiche alternative. Troppe aggressioni al paesaggio collinare dell’Italia sono già state compiute: discutibili impianti eolici e pannelli fotovoltaici deturpano paesaggi storici, si pensi soltanto al caso di Sepino. Nel futuro le fonti energetiche di nuova concezione devono trovare spazio nelle aree già compromesse lasciando intatti i territori aperti.

Va infine superata l’arretratezza dei sistemi di smaltimento dei rifiuti urbani. Basta guardare all’Europa dove sono diventati un volano economico. A parte poche aree virtuose, siamo il paese delle discariche in cui viene sepolto tutto, compresi i materiali riciclabili, e di quelle abusive gestite dal circuito della criminalità organizzata. Il ciclo dello smaltimento dei rifiuti urbani deve invece diventare un elemento connotativo di politiche di risanamento ambientale e di innovazione delle filiere produttive.

8. Territori sicuri. Antonio Cederna poneva sullo stesso piano la tutela dell’integrità culturale delle città e la salvaguardia dell’integrità fisica dei territori. Siamo un paese ad alta fragilità geologica e abbiamo ogni anno un numero impressionante di frane. Tragedie che coinvolgono intere comunità locali e distruggono interi territori. Meglio prevenire che intervenire su emergenze senza fine.

Una nuova politica di gestione del territorio passa prioritariamente per la sua messa in sicurezza, per il potenziamento dell’Ufficio geologico centrale (oggi lasciato nell’oblio); nella redazione della carta geologica nazionale che ancora non vede colpevolmente la luce; nell’avvio di politiche di regimazione dei corsi d’acqua. Piccole opere preziose invece di grandi, inutili cattedrali nel deserto.

9. Il ripristino della legalità. È del tutto evidente che per essere efficace, le nuove norme in materia di governo del territorio devono essere perfezionate con l’abrogazione delle normative derogatorie. In ordine di importanza devono essere cancellati l’accordo di programma, e cioè il grimaldello che scardina le procedure urbanistiche ordinarie, e la strumentazione d’emergenza sperimentata in questi anni dai «galantuomini» della Protezione civile, i «piani casa», le zone a burocrazia zero, le compensazioni urbanistiche e quelle ambientali. Scorciatoie che servono soltanto a nascondere il saccheggio.

E in tema di legalità un discorso particolare merita l’esigenza di bonificare i troppi siti inquinati esistenti sul territorio nazionale. È un problema che investe sia il Nord, che riutilizza i suoli precedentemente produttivi senza le necessarie bonifiche (come ad esempio a Santa Giulia a Milano), sia il Meridione, in cui il circuito dei rifiuti gestito dalla malavita organizzata ha riversato sul territorio ogni tipo di veleno. Un paese civile non può continuare ad abbandonare intere popolazioni al rischio di morbilità o di malattie ereditarie. Ripristinare la legalità serve alla salute di un paese smarrito.

28 ottobre 2011

GOVERNO GIU’ DAL PONTE! LO DICE IDV


Ieri, nell’Aula di Montecitorio, si è consumata una vera e propria guerra all’ultimo “eventualmente” sul Ponte di Messina, opera inutile, faraonica, una mostruosità più utile a soddisfare gli appetiti di qualche furbo disonesto e di qualche lobbies affaristica che ad avvantaggiare il Paese, il Sud e la Sicilia.

In breve la cronistoria di quanto accaduto, a voi le considerazioni finali. Il mio gruppo parlamentare ha presentato, a prima firma del collega Antonio Borghesi, una mozione per salvare il settore del trasporto pubblico locale, rimasto senza un becco di un euro in seguito agli indiscriminati tagli del governo ai trasferimenti alle regioni. Nella nostra mozione impegnavamo il governo “a reperire le risorse economiche necessarie anche eventualmente alla soppressione dei finanziamenti per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina”.

Era ed è, per noi, una questione di buon senso: in un momento come questo, è prioritario garantire diritti ai cittadini contribuenti come il trasporto pubblico o finanziare opere mastodontiche, inutili e faraoniche che non servono a niente e a nessuno? Il viceministro Misiti tentenna, inciampa, cade e si rialza ma Borghesi non molla e, alla fine, la mozione messa ai voti passerà con 284 si e 238 astenuti. Da quel momento, è cominciata la guerra di nervi a colpi di dichiarazioni stampa tra Misiti e Matteoli, il ministro delle Infrastrutture. “Parla a titolo personale”, dice Matteoli di Misiti. “La posizione del governo è netta, quella di Misiti ancor di più: il ponte si farà” risponde Misiti, alla fine di un’estenuante giornata. Sarà. Ma, ancora una volta, come accaduto per la mozione Irisbus, sono andati sotto, hanno combinato un bel pasticcio perché appesi ad un filo. Intanto, Italia dei Valori gongola e si gode la vittoria, non perché è nostra ma perché è una vittoria del buonsenso, in nome dei cittadini. Abbiamo costretto il governo allo stop ai finanziamenti per il Ponte, quello celebrato in pompa magna da Silvio. Li abbiamo buttati giù dal ponte. Per ora, è quello di Messina. Per il futuro, non tanto prossimo, si vedrà...

Massimo Donati IDV Camera dei Deputati

27 ottobre 2011

Il Pdl (Partito delle Libertà?) neanche ad Ardea pare essere così libero!


Non sarebbe libero di indicare il nome del prossimo potenziale Sindaco perchè "la base non è stata chiamata per alcuna decisione" e con il "Patto dell'Ombrellone" ne avrebbe già deciso il nome.

Questo sicuramente nell'esclusivo interesse dei cittadini badate bene!

E sicuramente la persona più capace, colta, democratica, fattiva, amante del territorio...fra i politici locali.

ma...c'è chi non ce stà.

Ben due consiglieri da quel “patto scellerato ed antidemocratico” ne hanno ricavato un mal di pancia, e nella stampa locale invocano le PRIMARIE.

Reclamano la democrazia nel partito, sostengono che si debba dare agli elettori la LIBERTA' di scegliere da chi - in caso di vittoria - vorrebbero essere governati.

Che impertinenza, inaudito!!

Per nostra informazione e guida almeno uno dei due ci aiuta a capire come dovrebbe essere il candidato ideale:

"risultare iscritto all’anagrafe tributaria (io aggiungo: ovviamente con i redditi effettivi, ivi compresi quelli da locazioni, anche giornaliere!) e non già inserito nel registro degli indagati, ma soprattutto sia al di sopra delle parti per lavorare per il bene del paese"

Ma attenzione: "non deve essere troppo giovane e quindi inesperto a gestire un comune difficile come Ardea".

(E forse non dovrebbe avere la barba!!)

Pasquino

26 ottobre 2011

SISTEMA INTEGRATO DEGLI INTERVENTI, DEI SERVIZI E DELLE PRESTAZIONI SOCIALI PER LA PERSONA E LA FAMIGLIA NELLA REGIONE LAZIO


Pur condividendo la necessità di una legge sul riordino dei servizi sociali, nella regione Lazio, e apprezzando il fatto che prima di iniziare l’esame del testo in commissione si siano avviate le consultazioni con i soggetti sociali rappresentanti degli utenti, degli operatori del volontariato e quelli istituzionali, riteniamo doveroso partecipare con nostre proposte ed emendamenti , certi che la giunta regionale e l’assessore Forte, non si arrocchino nella difesa di questa proposta di legge e si mostreranno disponibili ad accogliere la voce della federazione della sinistra e delle altre forze di sinistra .

La proposta di legge regionale 226,.ha ricevuto critiche rilevanti e sostanziali da parte di molte delle associazioni di settore e anche dai sindaci, come si evince dall’incontro con i comuni capofila dei distretti sociali sentiti in data 19 Ottobre .

Non ci trova d’accordo , per iniziare, l’affermazione dell’assessore che dichiara come condizione fondamentale la costruzione di un nuovo soggetto sociale che rappresenti gli enti locali associati, in grado di relazionarsi con la ASL, semmai, occorre una gestione che si integri con il sistema sanitario.

L’istituzione di OASi (organismo per le azioni sociali integrate) attraverso cui i comuni dovrebbero erogare i servizi, decreterebbe il superamento degli attuali distretti, e delinea un quadro aggravato da un intervento di ristrutturazione dei metodi sui quali si è costruito faticosamente il sistema di welfare, in poche parole la soppressione dei distretti sociali intesi come ambiti territoriali dotati di autonomia gestionale, economica e organizzativa

La proposta di legge Forte, di per se è criticabile non tanto per le omissioni degli interventi sociali che la regione intende erogare ai cittadini, quanto perché non prevedendo finanziamenti certi a far fronte ai leps, non dimostra di voler effettivamente garantire tali prestazioni.

Rifiutiamo l’idea di pagamenti dei tickets anche per le prestazioni sociali, , questo non vuol dire che prescindiamo dalle risorse disponibili, ma crediamo che debbano essere garantiti i bisogni dei cittadini e loro qualità di vita, individuando le risorse necessarie, recuperando dagli sprechi, e soprattutto vogliamo evitare che che entri nel settore sociale, la logica del profitto, e della speculazione economica.

Noi federazione della sinistra, intendiamo proporre emendamenti soprattutto sul terreno dei poteri che riteniamo debbano essere trasferiti concretamente ai comuni ed ai cittadini e alle loro associazioni di volontariato.


Gruppo regionale Lazio PRC-FdS

Politiche sociali

Ardea, arresti e petizioni popolari





Arrestati tre marocchini per ricettazione. E L'Idv chiede maggiore sicurezza


da Il Faro on line - I Carabinieri della locale Tenenza di Ardea hanno fermato tre marocchini, accusati di ricettazione di un ciclomotore, i tre come ce ne sono tanti ad Ardea, in Italia senza fissa dimora. L’attività si inquadra in un più ampio programma di prevenzione e repressione che i Carabinieri della locale tenenza coordinati dal capitano Ugo Floccher, comandante la compagnia di Anzio, stanno intensificando nel territorio rutulo al fine di prevenire e reprimere i reati contro il patrimonio andando ad interessare i vari settori della criminalità locale. Gli uomini della tenenza, hanno attuato un dispositivo di controllo del territorio negli orari ritenuti più sensibili per i furti. Proprio in tale contesto a seguito di alcuni mirati controlli nella zona i militari hanno sottoposto a fermo di pg tre ragazzi marocchini, di un’età compresa fra i 25 ed i 31 anni, trovati in possesso di un ciclomotore risultato compendio di furto denunciato nella stessa mattinata nella zona del Torrino di Roma. Nel corso delle successive perquisizioni personali i Carabinieri denunciavano uno dei tre ragazzi anche per possesso e porto illegale di arma bianca nonché per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti poiché trovato in possesso di un coltello a serra manico e cocaina, il tutto sottoposto a sequestro unitamente al ciclomotore. I tre fermati, al termine delle formalità di rito, sono stati tradotti presso il carcere di Velletri a disposizione dell’omonima Autorità Giudiziaria. Purtroppo anche questa brillante operazione del personale del comandante la locale tenenza il luogotenente Antonio Landi dimostra sempre più la gravità della situazione del gran numero di stranieri che scelgono Ardea come luogo di facile sopravvivenza, Ardea resta comunque un paese del litorale ad alto rischio malgrado come in questo ed in tanti altre operazioni l’impegno profuso dai militi di zona, impegno comunque che se non suffragato da fatti di volontà politica e di contributi regionali sempre promessi e mai inviati, si vanificano gli sforzi delle forze dell’ordine gettando sempre più i cittadini nel panico. E’ notorio il grande concentramento di stranieri comunitari e non, di grossi raggruppamenti di persone che vivono al limite della legalità che trovano rifugio nei settecento ettari demaniali o che vivono nei complessi residenziali delle Torri e delle Salsare dopo averne occupato le abitazioni. Non a caso proprio domenica scorsa presente il consigliere regionale On. Claudio Bucci insieme agli esponenti del suo partito con la presenza del candidato a sindaco dell’Idv, Cristina Capraro, hanno effettuato sulla piazza di Tor San Lorenzo una raccolta di firme proprio per i problemi della legalità. Ardea è sempre più terra di nessuno dove è possibile a ridosso di certi complessi immobiliari svaligiare indisturbati negozi, spacciare droga e rinvenire vere e proprie auto-carrozzerie illegali.
L.C.

24 ottobre 2011

COMUNICATO STAMPA(FILLEA CGIL)


LEGGE SULLA SICUREZZA NEI CANTIERI. CELLINI (FILLEA CGIL) RISPONDE AD ABETE: ‘BASTA CON GLI SLOGAN E LA PROPAGANDA DA PARTE DELLA REGIONE LAZIO’
Stupefacente proposta di legge, sulla sicurezza nei cantieri avanzata dal Presidente della Commissione Speciale Sicurezza e Prevenzione degli Infortuni sui luoghi di lavoro della Regione Lazio
Il Presidente della Commissione Speciale regionale del Lazio sulla Sicurezza e Prevenzione degli Infortuni sui luoghi di lavoro, Luigi Abete, ha presentato oggi una proposta di legge regionale volta a concedere alcune agevolazioni fiscali e previdenziali a quelle imprese edili che si saranno attenute con maggiore scrupolo alle norme sulla sicurezza dei lavoratori impegnati nei cantieri temporanei e mobili.
Abbiamo letto il comunicato stampa diramato dal presidente Luigi Abete e dai suoi contenuti siamo rimasti basiti per come si faccia propaganda politica a scapito di chi lavora nei cantieri e di quei soggetti quotidianamente impegnati per la sicurezza in edilizia”. Questa è la dichiarazione di Roberto Cellini, Segretario Generale della FILLEA CGIL di Roma e Lazio che continua: “Il presidente Abete dà la sensazione di parlare di cose che non conosce. Non credo che sia nella disponibilità della Regione Lazio determinare e decidere delle risorse degli enti bilaterali del settore delle costruzioni. Tali risorse sono stabilite e determinate dalla contrattazione collettiva provinciale di lavoro, e proprio in questo momento le parti sociali sono impegnate nella fase del suo rinnovo. Il presidente Abete, dovrebbe sapere che il C.T.P. di Roma, per la formazione sulla sicurezza già effettuata, deve ricevere da moltissimo tempo, proprio dalla Regione Lazio, oltre 1.000.000 di euro. Questa situazione potrebbe mettere in gravissima difficoltà, un organismo creato dal sindacato e dall’associazione dei costruttori romani oltre 30 anni fa. Il C.T.P. è un organismo che fa formazione e sicurezza nell’edilizia e che nasce dal CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO delle costruzioni e non dalla politica.”
Roberto Cellini continua prosegue: “Se la commissione vuole svolgere al meglio il suo ruolo, almeno nel settore delle costruzioni, dovrebbe conoscere meglio il settore stesso e le cose che in esso accadono, magari promuovendo la costituzione di un osservatorio che monitori le dinamiche di settore. Studiare i flussi finanziari, le gare, le aggiudicazioni, i flussi del mercato del lavoro aiuta ad elaborare sane politiche di settore. Ricordo a tutti i componenti della commissione ed in modo particolare al suo Presidente, che se ascoltassero anche tutte le parti sociali che fanno vivere il settore, si accorgerebbero che non è tutto oro quel che tale appare. Si accorgerebbero che prima di promuovere RIFUGI OFF SHORE PENALI per le aziende, sarebbe più utile una vera e seria legge regionale sugli appalti pubblici. Infine, se ce ne fosse bisogno, ricordiamo alla Regione Lazio tutta, che sono mesi che chiediamo e attendiamo di essere convocati per affrontare la profonda crisi del settore, che vede la perdita di oltre 10.000 posti di lavoro nella Regione Lazio “
Roma, 24 ottobre 2011

20 ottobre 2011

* Notizie Ardea " “Ardea sommersa dall’acqua, il sindaco si dimetta”


Giustini e Centore (La Destra): “Non si può più tollerare che questo fenomeno si verifichi ogni anno”

da Il Faro on line – “Ancora una volta siamo costretti a chiedere ad alta voce le dimissioni del Sindaco Eufemi e della sua giunta. Nonostante da anni, alle prime piogge Ardea diventi un acquario vero e proprio, nulla viene fatto per prevenire tale catastrofe. Oggi, a causa degli allagamenti molte autovetture sono rimaste ferme in mezzo alla strada con l’acqua a metà sportello, ma le cose più gravi di cui siamo a conoscenza sono avvenuti sulla Litoranea e alla Nuova Florida”. Un disabile è rimasto prigioniero all’interno del parcheggio antistante il bar ristorante a Marina di Ardea e solo grazie all’intervento di un cittadino che lo ha fatto salire sulla sua autovettura è riuscito ad attraversare la strada e porsi al riparo”.

E’ quanto afferma l’esponente de La Destra, Walter Giustini, che rimarca come alla Nuova Florida una donna incinta, in compagnia dell’altro figlio di 3 anni sia rimasta bloccata all’interno della sua autovettura sommersa dall’acqua. Entrambi sono stati salvati dall’intervento di un passante. Non si può più tollerare di vivere in questo modo, tanto più quando il fenomeno si verifica ogni anno. E ora non si venga ad invocare lo stato di calamità poiché la responsabilità è solamente della nostra amministrazione che nei mesi estivi è più preoccupata a fare i patti dell’ombrellone che a prendere iniziative in favore dei cittadini. L’assessore ai Lavori Pubblici, il suo consigliere di riferimento, il Presidente della Commissione Urbanistica e il Sindaco facciano mea culpa e si dimettano immediatamente. Hanno fallito e hanno il dovere morale e civile di rimettere i mandati affinché Ardea possa finalmente iniziare quel percorso di riqualificazione e consentendo così ai cittadini di tornare al voto per un’amministrazione migliore”.

Dello stesso avviso Simone Centrore che sottolinea come a ogni nubifragio tenda a ripetersi lo stesso scenario: "un paese invaso dall'acqua, auto sommerse, cantine allagate, strade devastate del violento acquazzone... Tutto questo – afferma - non è dovuto al maltempo, bensì, dall'incuria dei nostri Amministratori. Va bene riqualificare il territori, però, come sempre partiamo al contrario, mancano le cunette, tubazioni adatte alla raccolta della acque, la pulizia dei fossi ecc ecc. In questi cinque anni, la preoccupazione maggiore e stato portare avanti il Piano regolatore, tralasciano la riqualificazione delle zone già edificate selvaggiamente. La domanda e spontanea: quando riqualificheremo il territori? recuperiamo questo litorale incrementando il turismo?”.

TUTTI A ROMA CON LA FIOM

Fincantieri
Continua la lotta!
No alla chiusura di siti e cantieri
No ai licenziamenti
Serve un vero piano industriale fondato sulla diversificazione produttiva e
investimenti nelle tecnologie necessarie per nuovi prodotti
ambientalmente sostenibili
− Per scongiurare il pericolo di ridimensionamento di un settore industriale strategico per il
paese e della perdita di migliaia di posti di lavoro;
− per ottenere dal governo politiche della mobilità e del trasporto di merci e persone
adeguate alla salvaguardia e al rilancio di tutti i settori industriali interessati, a partire dalle
costruzioni navali;
− per un intervento verso l'Europa che finanzi la rottamazione delle vecchie navi circolanti;
− per l’immediato avvio di commesse pubbliche per affrontare lo scarico di lavoro;
− per un piano industriale che confermi la capacità produttiva e l’unitarietà del Gruppo
Fincantieri;
− contro l'art. 8 della manovra Finanziaria, gli accordi separati, per un vero contratto
nazionale di lavoro e una reale democrazia nei luoghi di lavoro,
sciopero generale per l'intera giornata
delle lavoratrici e dei lavoratori
del Gruppo Fincantieri e delle ditte di appalto

venerdì, 21 ottobre 2011


con manifestazione nazionale a Roma


Il concentramento è previsto a partire dalle 9.30 in piazza Repubblica


Fiom-Cgil nazionale


Roma, 18 ottobre 2011

19 ottobre 2011

ARDEA - CONTROLLI SUL LUNGO MARE, SEQUESTRATO IL RISTORANTE BAR STABILIMENTO BALNEARE " LA CANNUCCIA "


Ardea sempre più allo sbando i vecchi mali riaffiorano se pur dopo anni e quello che è peggio che questa amministrazione non è riuscita a risolverli, così che presto l’intero paese sarà un paese fantasma come denunciano commercianti e consiglieri comunali. Inziò Bruno Cimadon qualche mese fa, oggi Luca Fanco entrambi della Pdl. Dopo la denuncia del consigliere Cimadon che con una interrogazione in consiglio comunale chiese verifiche sull’inquinamento lungo la costa causato dalle tante costruzioni abusive, Cimadon rimarcava come alcuni manufatti, fossero stati abbattuti mentre altri continuavano imperterrite a restare in essere e per di più a servire come punti di vendita di attività commerciale senza i requisiti di legge e forse anche ad inquinare. A Cimadon si unì un ristoratore di un noto ristorante il quale dopo alcuni controlli chiese con un esposto di controllare tutte le attività commerciali del lungomare. A seguito di questi controlli ieri il comandante Francesco Tiso della capitaneria di porto congiuntamente alla polizia municipale che al comando del Capitano Aldo Secci hanno affisso un cartello di sequestro giudiziario alla nota struttura balneare “La Cannuccia” con annesso bar e ristorante. Il sequestro è stato disposto direttamente dalla Procura della Repubblica di Velletri dopo l’informativa dei due enti in collaborazione con la tenenza di Ardea per abusivismo edilizio e per non aver ottemperato alla demolizione imposta con sentenza del TAR Lazio passata ingiudicato. Prova questa che quanto denunciato dal ristoratore e dal consigliere Cimadon è suffragata da fatti. Le indagini proseguono da parte delle forze dei carabinieri per capire se c’è stata qualche “copertura” o “svista” che ha permesso a tante attività di continuare ad ottenere permessi ed evitare demolizioni e dinieghi di domande di sanatoria come è accaduto a molti proprietari di case abusive sulla battigia oltre che avere un commercio drogato in danno delle attività regolari. La municipale dal canto loro hanno richiesto per altre attività commerciali denunciate dal politico e dal ristoratore ordinanze di chiusura e di abusivismo edilizio che verranno emanate a breve, controlli e verifiche che non risparmieranno ne politici ne controllori. Un fatto questo che presenterà il lungomare di Ardea con le insegne al buio nella prossima stagione balneare. Luca Fanco con un esposto presentato all’architetto Diana normalmente ausiliario di P.G. per disposizione della municipale, al Maresciallo Roberto Fareri comandante carabinieri di Tor San Lorenzo, al comando della Guardia di Finanza di Pomezia alla Procura di Velletri ed alla Corte dei Conti, ha emulato il ristoratore. Fanco dopo che un cittadino a seguito della relazione dello stesso Diana ha subito l’ottantesimo sequestro giudiziario a suo dire non legittimo, Fanco come consigliere comunale pretende come precedentemente richiesto dal suo collega Bruno Cimadon e dal ristoratore di verificare in Tor San Lorenzo centro, oltre trenta locali tra cui cinque palazzine, una banca, e addirittura l’ufficio postale oltre che diversi negozi e centri commerciali che da qualche mese hanno ottenuto la licenza commerciale, manufatti come è scritto nella relazione dell’ausiliario di P.G. edificati in una zona in contrasto con la norma urbanistica regolamentata dal Piano Particolareggiato approvato con delibera di consiglio comunale n. 14.03.92, nello specifico in violazione all’art. 8 delle N.T.A. che fissa al 20% della cubatura dell’edificio di riferimento la volumetria dei negozi e delle attività commerciali. Fanco chiede di verificare successivamente tutte le attività commerciali e se il caso di imputare ai responsabili eventuali richieste di danni. Ardea si presenta sempre più con una illegalità commerciale ed urbanistica diffusa in tutto il territorio. Intanto la classe politica è presa alla ricerca di nuove varianti urbanistiche senza aver provveduto sistemare quelle gia in essere come le zone del lungomare, delle aree industriali in zona Caronti , ed ora per Tor San Lorenzo seri problemi alla cittadinanza ed al vivere civile.

Luigi Centore


PETIZIONE POPOLARE , FIRMA PER LA TUA SICUREZZA

18 ottobre 2011

ARDEA 15°CENSIMENTO GENERALE DELLA POPOLAZIONE E DELLE ABITAZIONI


I MODULI PER IL CENSIMENTO SONO IN DISTRIBUZIONE


DAL SITO UFFICIALE DEL COMUNE DI ARDEA

“15° CENSIMENTO GENERALE DELLA POPOLAZIONE E DELLE ABITAZIONI”

DAL 9 OTTOBRE SI POSSONO COMPILARE I MODULI ISTAT


AVVISO

Si informa la popolazione residente che, tramite il servizio postale, l’Istat sta consegnando alle famiglie i questionari da compilare per il 15esimo Censimento Generale della Popolazione e degli Edifici. Detto questionario si potrà compilare soltanto a partire dal 9 ottobre 2011 e fino al 20 novembre 2011 (la situazione familiare da riportare sulle informazioni richieste dal questionario Istat è quella riferita alla mezzanotte tra l’8 e il 9 ottobre 2011). Dal 21 novembre 2011 le persone che non hanno risposto o restituito il questionario riceveranno la visita di un rilevatore che, munito di tesserino (Istat/Comune di Ardea), collaborerà alla compilazione ed al ritiro del questionario stesso. Si prega di osservare attentamente le modalità di risposta e consegna riportate sul questionario che si potrà restituire all’Ufficio postale di zona o presso i centri di raccolta che verranno definiti nei prossimi giorni.

Per ulteriori informazioni, è possibile chiamare il Numero Verde dell’Istat 800.069701.



il Webmaster

17 ottobre 2011

Notizie ardea : “Salviamo le palme dal punteruolo rosso”

Peppino Sarrecchia (Pd) insieme ai cittadini di Ardea chiede alle istituzioni di salvare le piante della località


da Il Faro on line - Malgrado le tante ordinanze emanate dal sindaco e dal dirigente all’ambiente, affinché i proprietari delle palme prendano dei provvedimenti per curarle, non sembra che nessuno se ne preoccupi. Proprio in questi giorni, alcuni cittadini in giro per il mercato rionale, che si svolge ogni sabato mattina ad Ardea, si chiedevano chi fosse l'ente preposto a risolvere il problema delle due palme secolari che per oltre un secolo hanno fatto bella mostra sulla piazza centrale del paese. “Strano - diceva un cittadino - i primi a non osservare le ordinanze da loro stesse emesse sono le istituzioni comunali come la polizia municipale, che assiste imperterrita a questo degrado senza prendere provvedimenti. Anzi - continuava il giovane interlocutore - non si capisce perchè, i vigili che almeno il sabato giungono in forza a piantonare il mercato, ancora non hanno preso o fatto prendere un provvedimento nel rispetto dell’ordinanza. Così facendo mettono a rischio di epidemia anche le altre piante sane della zona”. Certo che, sulla piazza principale del paese, ci transitano i dipendenti dell’ufficio ambiente con il loro dirigente, il comandante della polizia municipale con il responsabile del settore ambiente, il responsabile dell’autoparco che ha in gestione il taglio degli alberi e dell’erba… e nessuno fa nulla. Ovviamente ci transita tutte le mattine anche lo stesso Sindaco il quale come gli altri non si è accorto che le foglie si sono ammosciate e che presto resterà soltanto il tronco della palma. Il punteruolo rosso non ha attaccato soltanto quelle sulla piazza di Ardea ma anche quelle sulla piazza di Tor San Lorenzo antistante l’ex patio. A chiedere il salvataggio delle palme il gruppo del Pd, capeggiato da Peppino Sarrecchia che ha distribuito un volantino poetico proprio per chiedere che qualcuno intervenga.
Luigi Centore



Caro Luigi,

Ci racconti che un giovane interlocutore ti ha espresso il suo stupore che anche le palme delle nostre piazze stanno morendo senza che nessuno se ne preoccupi.

Aggiungi che quello stesso cittadino si meraviglia che pur transitando sotto gli alberi malati i dipendenti dell’ufficio ambiente con il loro dirigente, il comandante della polizia municipale con il responsabile del settore ambiente, il responsabile dell’autoparco che ha in gestione il taglio degli alberi e dell’erba, … nessuno fa nulla.

Ma neppure quel gruppo di Consiglieri Comunali, impegnatissimi nei loro “Consigli extra-ordinari “ giornalieri al bar della stessa piazza, troppo intenti ai loro inciuci, non paiono ritenere il problema importante (come peraltro – se pur eletti per risolverli - sembrano per loro non esserlo i tanti altri problemi che ci attanagliano.

Che poi tutte le mattine anche il Sindaco transiti nella stessa piazza che vuol dire? Lui (nonostante avesse sostenuto che la palma non sia una pianta autoctona,,,) sì che se ne preoccupa!. A scanso di responsabilità ha compiuto il suo dovere burocratico. Lui l’ordinanza l’ha emessa. E’ compito di altri farla rispettare, che diamine!

Caro Luigi, da navigato giornalista/fotografo/politico/costruttore, avresti dovuto dare la risposta che ben sai al tuo interlocutore. Avresti potuto sussurrargliela piano piano in un oreccho:

“A nessuno gliene frega niente perché LE PALME NON VOTANO!”

Tuo

Pasquino Ardeatino

PS) Quasi me ne scordavo: Hai notato quanti tronchi di palma scheletriti e non incappucciati punteggiano il panorama di Ardea? Ti sei chiesto come ciò sia possibile in barba alla succitata ordinanza? Forse è difficile individuare i proprietari degli immobili. Forse la declamata “legalità” deve essere messa da parte, specialmente ora, perché si, anche i contravventori votano!



11 ottobre 2011

ANCHE IL PONTE E' ABUSIVO


Caso ponte di Legno, ancora allarme sicurezza

Pellico a Rocca: "L'opera venne realizzata dalla provincia per cui eventuali progetti sono da rintracciare negli archivi dell'ente"

- Non si è fatta attendere la replica del dirigente ai Lavori pubblici Aristodemo Pellico al dirigente alle manutenzione all’Ambiente Antonello Rocca, in merito all’apertura abusiva del ponte di legno che ha allarmato diversi cittadini per il pericolo segnalato dalla polizia municipale. “Io ho predisposto un ordine di servizio – ha spiegato Rocca - rispetto al quale il ponte è stato chiuso al transito. Non sono a conoscenza della riapertura. Non posso mettere mano ai lavori se prima non ho la legittimità urbanistica, non avendo ricevuto alcun progetto dai Lavori pubblici malgrado richiesto. Mi auguro che prima che accada qualche disgrazia, i vigili, magari aiutati dai carabinieri, rintraccino i progetti per sapere dove e come intervenire”. Il dirigente ai lavori pubblici Architetto Aristodemo Pellico nella sua risposta al collega dell’Ambiente ha precisato: “L’opera venne realizzata dalla provincia di Roma molti decenni fa quando la strada era a carico dell’ente, quindi, se si vogliono visionare i documenti e bisogna andare in Provincia, tra l’altro conclude il dirigente ai lavori pubblici non si può rispondere a tutte le sciocchezze che vengono richieste a questo ufficio”. A confermare che l’opera in legno fosse realizzata dalla provincia di Roma anche l’ex dirigente Enzo Traietti oggi in pensione. Resta comunque il problema di un ponte attraversato ogni giorno dalle scolaresche e, con loro, tanti abitanti che si recano nella zona della Banditella o al museo Manzù. Il ponte stando alla relazione della municipale e all’ordine di servizio di Rocca, comunque resta un pericolo costante. Ardea resta comunque un comune allo sbando malgrado l’impegno profuso dal sindaco Eufemi,dove le buche sono alla portata di ogni automobilista, l’erba resta alta specialmente nei piazzali degli edifici comunali… senza che nessuno veda il degrado. In questo periodo il comando della municipale afferma di essere con pochissimo personale dopo che sono stati congedati gli agenti a contratto a tempo, il dirigente Rocca sostiene di non avere il Peg (i soldi) per far riparare, pur volendo il ponte, tanti tecnici comunali sono impegnati nell’elaborare le varianti urbanistiche da approvare prima del fine mandato, i politici di maggioranza, sono affaccendati a raccogliere le richieste di iscrizione alla Pdl… dove andremo a finire?
Luigi Centore

NONOSTANTE L'IMPEGNO PROFUSO DAL SINDACO EUFEMI ??

Ma Eufemi è ancora Sindaco di Ardea ? Forse a Piazza Garibaldi se lo stanno finalmente chiedendo. Intanto il ponte della discordia è stato riaperto abusivamente senza assunzione di responsabilità degli uffici preposti. I dirigenti addetti ai lavori si rimbalzano le competenze ma la situazione rimane a rischio sicurezza.

Questa purtroppo è la desolante constatazione di una amministrazione che in questi anni, a tutto ha pensato tranne che ai cittadini

il Webmaster



08 ottobre 2011

GOVERNO LADRO IPOTECA LA CASA...


Grande idea del governo per ridurre il debito pubblico: ipotecare le case degli italiani. Una bella ipoteca del 10% e passa la paura. Insomma, agli italiani proprietari di case la paura resterebbe, ma questo cosa importa? Voi, sinceramente, affidereste a Berlusconi il 10% della vostra casa? Io no. Mi chiedo cosa aspettino a dare il premio Nobel per l’economia a questi geni. L’ipotesi che il governo stia considerando di ipotecare le case di tutti gli italiani per ridurre il debito pubblico è, nel contesto odierno, una specie di rapina a mano armata. Questo governo deve smetterla di saccheggiare i risparmi degli italiani. Quello che serve al Paese sono riforme strutturali che ridisegnino l’architettura dello Stato e delle pubbliche amministrazioni e che ci portino a spendere meno e meglio il denaro pubblico. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Si deve ricostruire lo Stato italiano dalle fondamenta azzerando sprechi, burocrazia. Si devono eliminare le ruberie e le clientele. L’idea di dare le case degli italiani a garanzia del debito, mettendoci un’ipoteca sopra, la dice lunga su quanto il governo, che è ormai alla frutta, si sia ridotto a scelte disperate. Ma dimostra anche quanto, al di là delle parole rassicuranti di Berlusconi e company, la situazione italiana sia di una gravità estrema. Ma il punto, lo ribadiamo ancora una volta, è un altro: bisogna ridurre la spesa pubblica, riducendo sprechi inefficienze e le mille ruberie che ancora oggi assorbono immense risorse pubbliche. Anche solo pensare di ipotecare le case degli italiani è una scelta delinquenziale. La ricetta è una sola: meno spesa pubblica e più sostegno allo sviluppo.

06 ottobre 2011

ARDEA, PER EUFEMI L'EMERGENZA ABITATIVA NON E' UN PROBLEMA


Unione Inquilini Ardea Rifondazione Comunista Ardea

COMUNICATO STAMPA:Unione Inquilini e PRC effettueranno un bando auto organizzato.


Ardea/Casa: “Per il Sindaco Eufemi le politiche abitative non sono una priorità, forse non conosce neanche il dramma di centinaia di famiglie che sono in attesa di una casa popolare, che sono costrette a convivere, che sono soggette a canoni esosissimi (spessissimo in nero).”

Dichiarazione congiunta dell’Unione Inquilini e del Prc di Ardea

Era il 19 Maggio 2011, quando l’Unione Inquilini, unitamente a Rifondazione Comunista di Ardea, registrarono al protocollo, una richiesta di incontro con il Sindaco, per conoscere: i dati in possesso dell’Amministrazione, sulle eventuali condizioni di liste di attesa per alloggi popolari e per discutere la situazione di emergenza abitativa nel nostro Comune, nonché per conoscere le iniziative intraprese o che intendeva intraprendere per dare casa a coloro collocati utilmente in graduatoria. Ad oggi nessuna risposta, ufficiale. Ci siamo recati presso l’ufficio del Sindaco per verificare che la richiesta fosse realmente passata dal protocollo alla scrivania di segreteria del Sindaco. La risposta è stata che il primo cittadino non riceve da mesi, in quanto si sta dedicando solo a incontri di priorità, pertanto siamo in coda etichettati come non urgenti.

Possiamo dedurre:

a) che la gestione degli alloggi comunali e ater (non di competenza comunale ma abitati da cittadini di Ardea in difficoltà), non rappresentano una priorità per questa amministrazione, anzi non rappresentano proprio un problema;

b) che in merito alla richiesta dati, (bando case popolari, lista di attesa , categorie sociali presenti nella graduatoria, (se sfrattati, anziani, giovani coppie o altro), dobbiamo denunciare un vuoto assoluto, che nasconde un vuoto programmatico inaccettabile.

A questo punto, decidiamo di passare all’azione e l’Unione Inquilini, procederà alla dimostrazione che ad Ardea il problema non è affatto secondario anche se sommerso e sconosciuto al Sindaco, nelle prossime settimane inviteremo i cittadini di Ardea in attesa di risposta per l’assegnazione, in precarietà abitativa a partecipare ad un bando per le case popolari auto organizzato e renderà pubblico il risultato. Forse di fronte a centinaia di famiglie in emergenza, Eufemi si sveglierà dal torpore altrimenti andremo con tutte le famiglie sotto al Comune con una manifestazione popolare.

Rileviamo inoltre, che neanche ha la cortesia di rispondere con un no o con una proposta di rinvio di incontro con una organizzazione sindacale di rilievo nazionale e un partito che si colloca all’opposizione politica, un gesto niente affatto casuale! Non c’è male Sindaco quanto a correttezza istituzionale nei rapporti con le associazioni e i sindacati del suo comune.

Roma 5 ottobre 2011


MOVIMENTO ANTIEQUITALIA

15 OTTOBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA. PEOPLES OF EUROPE, RISE UP!


COORDINAMENTO 15 OTTOBRE http://15ottobre.wordpress.com
Corteo da piazza della Repubblica a Piazza San Giovanni - ore 14.00
Sono già centinaia le organizzazioni nazionali e locali, le reti, i movimenti che stanno preparando la loro partecipazione al grande, plurale, pacifico corteo che nel pomeriggio del 15 attraverserà le vie della Capitale, prima tappa di un percorso di mobilitazione che continuerà anche dopo quella giornata. La manifestazione partirà alle 14.00 da piazza della Repubblica e, dopo aver attraversato via Cavour, Largo Corrado Ricci, via Dei Fori Imperiali, piazza del Colosseo, via Labicana, viale Manzoni, via Emanuele Filiberto, raggiungerà piazza San Giovanni. 210 le mobilitazioni già previste il 15 ottobre in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo, contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia causata dalle politiche anticrisi, che difendono i profitti e la speculazione finanziaria. In Italia l’appello internazionale è stato raccolto da tanti soggetti organizzati, alleanze sociali, gruppi informali e persone che hanno dato vita al Coordinamento 15 ottobre. La grande manifestazione nazionale sarà una tappa della ripresa di spazio pubblico di mobilitazione permanente, che è necessario mettere in campo per cambiare l’Italia e il nostro continente. Il Coordinamento 15 ottobre invita a costruire in tutto il territorio la partecipazione italiana alla giornata europea e internazionale "UNITED FOR GLOBAL CHANGE" e a convergere nella giornata nazionale di mobilitazione a Roma. Roma, 5 ottobre 2011

05 ottobre 2011

VIA FROSINONE : UNA STRADA, TRE STRAFALCIONI DI UNA AMMINISTRAZIONE AL CAPOLINEA












Via Frosinone, ennesima dimostrazione di approssimazione e di incapacità dell'Amministrazione Eufemi di eseguire Lavori Pubblici.

Clonfitto di interessi: come si può leggere in alto a destra il progettista dell'opera è l'attuale Assessore ai lavori Pubblici Roberto Catozzi

Consegna lavori: il fine lavori è previsto per il 4 ottobre 2011 siamo ancora a ......

Barriere architettoniche: foto a destra al centro del marciapiede colonnina telefonica che impedisce il passaggio ai disabili .

IDV Ardea

02 ottobre 2011

COMUNICATO STAMPA

COMUNICATO STAMPA

I PARTITI DEL CENTROSINISTRA CHIARISCONO LA POSIZIONE SULLA CANDIDATURA A SINDACO DI ABATE

In relazione alle notizie apparse sulla stampa da parte del Pd e Idv, noi firmatari del presente comunicato intendiamo chiarire la nostra posizione in merito alla candidatura a sindaco. Prima dell’estate tutti i partiti di centrosinistra, compresi Pd e Idv stabilirono che il candidato a sindaco lo dovesse scegliere il Pd. Questi successivamente presentò la candidatura di Abate e tutti i partiti l’accettarono firmando anche un documento in tal senso. L’Idv non espresse riserve o giudizi negativi, ma annunciò che avrebbe pensato ad una propria candidatura, cosa che ha fatto recentemente e che comunque è in contrasto con i precedenti accordi volti a condividere la scelta operata dal Pd.

E’ necessario rammentare che dopo tante sconfitte elettorali, dovute alla presenza di più candidati sindaci del centrosinistra, questa potrebbe essere la prima volta di una coalizione unita e in grado di vincere la competizione amministrativa della primavera 2012.

Per tale ragione non riteniamo di poter condividere ripensamenti immotivati sulle decisioni prese liberamente. Dunque deprechiamo che il PD abbia messo in discussione il proprio candidato pensando assai tardivamente alle primarie.

In linea di principio ci dichiariamo assolutamente favorevoli alle primarie quale strumento di selezione democratica dei rappresentati del popolo, ma non possiamo condividere, poiché incomprensibile, quanto sta accadendo nel PD con riguardo alla candidatura di Abate. Senza entrare nelle dinamiche di gestione di quel partito, siamo però persuasi che un candidato che è l’unico consigliere comunale del centrosinistra e appartenente al PD, che è del territorio e ne conosce tutte le problematiche, non possa e non debba essere messo alla berlina, prima candidato e poi revocato immotivatamente e soltanto per assecondare tardive richieste di primarie di coalizione.

Al riguardo non riteniamo di partecipare alle primarie, per la semplice ragione che abbiamo già delegato il PD a proporre un proprio candidato e poi perché non comprendiamo come sia possibile optare per le primarie quando solo tre mesi fa i candidati all’interno del PD erano soltanto due, Abate e Sarrecchia.

Non vorremo pensare che l’irrazionale e contraddittorio comportamento, principalmente del PD, ma anche dell’IDv, possa nascondere obiettivi poco chiari e per noi inaccettabili, quali ad esempio candidare taluno in grado di recuperare personaggi fuoriusciti dal centrosinistra, che hanno governato col centrodestra, e ora vorrebbero saltare sul carro (nostro) di possibili vincitori. Sappiano fin da adesso i due menzionati partiti che noi non avalleremo mai ammucchiate di transfughi di nessun genere e men che meno saremo disponibili ad appoggiare candidati diversi da quello già formalmente condiviso.

Ardea, lì 1 ottobre 2011

Le Segreterie: Sel – Rifondazione Comunista – Socialisti – Verdi - Api